Interessante articolo pubblicato su Wired
L’iphone ed anche il futuro Ipad hanno un sistema operativo che impedisce l’installazione di applicazioni di terze parti. Chiunque voglia sviluppare applicazioni deve farlo con un kit distribuito da apple a pagamento e successivamente, previa verifica da parte di Apple, l’applicazione sarà firmata digitalmente da Apple, che provvederà a renderla scaricabile dall’App Store. Tutto ciò che viene venduto a pagamento sull’App Store prevede che gl introiti siano divisi in questo modo: 70% al programmatore 30% alla Apple.
Ovviamente questo stretto controllo effettuato dalla Apple ha già portato in passato a delle polemiche poichè Apple non consente in alcun modo alle applicazioni di integrarsi con il sistema operativo dell’iphone nè inserire nuove funzionalità.
Alcuni esempi?
All’inizio il s.o. dell’iphone non prevedeva la possibilità di inviare mms o la possibilità di fare copia e incolla di testi. Trattandosi di difetti insiti nel sistema operativo Apple non ha consentito a sviluppatori terzi di mettere in vendita applicativi che integrassero queste funzionalità sul proprio dispositivo.
Altro esempio è la querelle avuta con Google che aveva sviluppato un software, “Google Voice”, che doveva consentire agli utenti di usare l’iphone per effettuare telefonate voip (sfruttando cioè la rete e, quindi, a costi molto competitivi). Apple non ha autorizzato la distribuzione del software sull’app store costringendo Google a ripensare il proprio applicativo trasformandolo in web-based cosicchè potesse essere utilizzato tramite il browser integrato nell”iphone.
Alcune interessanti considerazioni sulla politica Apple le trovate su Techcrunch (in inglese)
Ovviamente esiste un modo per installare applicativi di terze parti e consiste nel installare un crack che sblocca il telefono. Questa operazione viene chiamata jailbreak (letteralmente: evadere dal carcere).
Secondo la Apple questa operazione lede negli Stati Uniti la normativa a tutela del diritto d’autore, il Digital Millennium Copyright Act approvato nel 1998.
La EFF sostiene, invece, che l’operazione sia lecita. Il 2 dicembre 2008 ha presentato all’ufficio del Copyright americano una apposita richiesta in cui si chiede che venga riconosciuta espressamente la liceità di questa operazione. L’ufficio del Copyright, infatti, ai sensi del Digital Millennium Copyright Act può decidere di escludere l’applicabilità della normativa sul copyright per comportamenti che rientrano nel concetto di “fair use” (uso ragionevole). Il testo della richiesta formulata da EFF, molto interessante, è disponibile qui (in lingua inglese).
L’ufficio del Copyright non si è ancora pronunciato ma certo è che un eventuale decisione favorevole sarebbe assolutamente dirompente e, come sostiene l’autore dell’articolo su Wired, farebbe tabula rasa dell’iphone come lo conosciamo oggi. Oggi nessuna software house importante si esporrebbe a vendere software che gira su iphone sprotetti (non essendo chiaro se questa operazione sia o non sia lecita) ma se l’ufficio dovesse proncunciarsi favorevolmente lo scenario cambierebbe radicalmente.
Nel frattempo le statistiche ci dicono che negli USA 1 iphone su 10 (4 milioni sui 40 milioni di iphone venduti) è già stato sprotetto ed il successo di Cydia, lo store creato per gli iphone sprotetti dove possono trovarsi tutti gli applicativi non ammessi sullo store ufficiale, si fa sempre più evidente.